Il 29 maggio 1993 stava portando aiuti umanitari da Brescia – Il racconto di uno dei sopravvissuti alla strage in cui morirono altri 2 volontari 

OSSIGENO maggio 2024, a cura di Grazia Pia Attolini – “In Guido, in particolare, c’era un suo forte desiderio di raccontare le vicende intime dell’umanità, non tanto le logiche dei politici e dei generali, piuttosto voleva conoscere i fatti da vicino, essere presente, non amava il racconto di seconda mano. Per questo è venuto con noi. Amava sporcarsi gli scarponi. Non stava dietro la scrivania”.

A parlare è Agostino Zanotti, volontario sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1993 nei pressi di Gornji Vakuf, in Bosnia, dove perse la vita il giornalista Italo-argentino Guido Puletti (leggi la sua storia). Erano insieme sul convoglio di aiuti umanitari partito da Brescia, assalito da una banda militare. Con Puletti rimasero vittime anche Sergio Lana e Fabio Moreni. Christian Penocchio e Agostino Zanotti riescono a scappare nei boschi.

Per Zanotti non era la prima volta in Bosnia. Già dalla fine del 1992 prende parte alle iniziative del Coordinamento Bresciano Iniziative di Solidarietà. Dopo la strage del maggio 1993 il suo impegno non si fermò. Nel 1996, fonda “Ambasciata della Democrazia Locale a Zavidovici” che ancora oggi promuove l’integrazione sociale e culturale dei cittadini stranieri e dei rifugiati. A Ossigeno racconta lo spirito dei primi anni Novanta e traccia il profilo umano e professionale del compagno Guido Puletti.

Cosa vi spinse a partire?

Era una guerra così vicina da non lasciarci indifferenti. Non bastava semplicemente indignarsi per la guerra e le atrocità subite da bambini, donne, uomini, bisognava avere il coraggio di mettersi in gioco, tentare nuove strade, diverse da quelle potentemente nefaste delle armi contro le armi. Bisogna manifestare nelle pizze ma darsi da fare, abbracciare il pacifismo concreto, andare nei luoghi di conflitto, portare solidarietà e vicinanza alle vittime. A questi presupposti si aggiungeva il desiderio di comprendere un po’ di più quel conflitto, quali erano le dinamiche in campo. Per me, per noi, era incomprensibile che alle porte del terzo millennio ci fosse un conflitto così cruento.

Chi era Guido Puletti?

Era un uomo di pace, aveva sane convinzioni politiche, era anticolonialista. Era intelligente, aveva un umorismo sottile. Lo contraddistingueva l’umilità. Nonostante fosse un grande intellettuale, conoscesse diverse lingue e la sua scrittura giornalistica fosse dotata di grande spessore, non ostentava mai la sua competenza. Era anche un bravo giocare di calcio: ricordo che nel secondo viaggio fatto insieme ci fermammo in un piccolo villaggio, dove c’erano dei bambini che giocavano a pallone e Guido andò a giocare con loro.

Le ha mai parlato delle torture subite in Argentina?

Il suo passato di sofferenza era evidente nei suoi occhi. In Argentina, dove era nato, nel 1977 fu sequestrato e torturato dagli agenti del regime dittatoriale di Videla per 30 giorni, poi riuscì a scappare. Parlava poco di questa vicenda. Ricordo che nel viaggio del 29 maggio vidi sul suo corpo una serie di cicatrici e compresi che erano quelle rimaste a seguito delle torture subite.

Com’è stato il “dopo Guido”?

Spesso io e Christian Penocchio ci rammarichiamo di non avere Guido al nostro fianco in quello che poi abbiamo fatto dopo il 29 maggio, ci sarebbe piaciuto averlo vicino con le sue doti e la sua capacità comunicative. Guido ci avrebbe dato una mano ulteriore ad analizzare quel momento e anche quelli successivi. Dopo il 29 maggio abbiamo aperto percorso Giustizia e verità per riuscire ad arrivare al colpevole. Altro percorso importante era di portare avanti il progetto. Nel 1994 sono tornato con una delegazione di parlamentari italiani per dire alle famiglie che avremmo dato seguito alla promessa di aiutare quelle famiglie che arrivarono alla fine del 1994 a Brescia. Lì poi abbiamo aperto una ambasciata della democrazia locale tutt’ora presente per consolidare quel legame di amicizia con cittadini e amministratori, per partecipare alla ricostruzione post bellica e tessere legami in Europa.

Qual è l’eredità di Guido Puletti, in un modo ancora lacerato dalle guerre?

Guido non avrebbe mai mollato, aveva delle convinzioni solide, era convinto che bisognasse stare tra i deboli e con i deboli, per portare avanti le istanze insieme alle vittime. Era inoltre convinto che dovesse essere combattuto qualsiasi governo non democratico, che bisognasse affermare i diritti umani nel mondo. Questa è l’eredità di Guido Puletti: guardare dalla parte dei più deboli ma non con lo spirito caritatevole, assecondando la condizione di miseria, ma con un o spirito politico che incontra il corpo dell’altro e insieme cerca di agire perché le condizioni di oppressione possano cambiare. Ancora oggi Guido ci invita a una lotta comune contro i soprusi e le ingiustizie, un messaggio molto forte dal quale farci ispirare e guidare ai nostri tempi.

 

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