OSSIGENO 1 settembre 2025 – di Grazia Pia Attolini – In questo estratto dal libro “Omicidio di Stato. Storia dei giornalisti Graziella De Paolo e Italo Toni” (Nicola De Paolo, Curcio editore, 2012) l’autore, il cugino della giornalista, ripercorre, attraverso gli appunti dell’agenda della cronista, i preparativi di quel viaggio che, nell’estate 1980, costò la vita ai due giornalisti. Inoltre, attraverso le parole della giornalista, viene ricordata l’intervista che Graziella De Palo rivolse a monsignor Ibrahim Ayad, un sacerdote cattolico libanese, presidente ecclesiastico latino di Beirut che faceva parte del consiglio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. La sua tesimonianza, a distanza di quattro decenni, ci riporta all’attualità della condizione degli ostaggi e delle uccisioni nella Striscia di Gaza a ventitré mesi dall’inizio delle operazioni militari israeliane nei territori palestinesi.

Graziella, scrive l’autore, come cronista e come donna “considera la violenza come una piaga da sanare” e si interroga, e chiede al suo intervistato, come si possa “risolvere il dramma della convivenza tra ebrei e palestinesi in Israele e nei territori occupati”.

“L’intervista di Graziella è di una drammatica attualità”- dice a Ossigeno per l’informazione Nicola De Palo – “Purtroppo nulla è cambiato, nella martoriata Palestina, negli anni successivi alla alla scomparsa dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni. Se fossero ancora vivi la loro voce si leverebbe forte in difesa delle vittime di tutti i conflitti, in difesa della pace e della convivenza tra tutti i popoli della Terra”.

Leggi la storia di Graziella e la storia di Italo | Come vengono ricordati a distanza di 45 anni

DAL CAPITOLO 5 DEL LIBRO “OMICIDIO DI STATO” (DI NICOLA DE PALO, 2022)

Dopo l’uscita e il successo del libro su Che Guevara (“Quale movimento – polemica su Che Guevara”, Mazzotta, 1978 – ndr) Graziella e Italo sarebbero dovuti partire per un viaggio premio a Cuba. Ma il destino volle che le cose andassero diversamente. Infatti, poco prima dell’uscita dell’arlicolo Passi indietro del govemo italiano, cioè nella primavera del 1980, Nemer Hammad, prendendo a pretesto anche i loro interessi nei confronti del mondo arabo e del la causa palestinese, offrì loro in alternativa un viaggio in Libano come ospiti dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndr)

A Graziella brillavano gli occhi al solo pensiero di poter documentare con tanto di macchina fotografica nuova le denunce contenute nei suoi articoli sul traffico d’armi: il colonnello Giovannone avrebbe finalmente avuto un volto!

La sua agenda rossa del 1980, che portò con sé in Libano e che fu in seguito restituita ai famigliari attraverso la Surété libanese, è preziosa testimonianza dei suoi preparativi del viaggio. Sulla pagina del 16 maggio appare l’abbozzo di una cartina geografica con una misteriosa freccia che parte dal Medio Oriente e va verso le penisole greca e italiana. Compare per la prima volta il 22 maggio la traccia di una telefonata in Siria, cui segue il giorno dopo un appuramento con Democrazia Proletaria.

Al 29 maggio risultano contatti telefonici con l’ufficio stampa di Gianni De Michelis, mentre il 30 maggio Graziella ha nel suo memorandum telefonate alla fabbrica d’armi Agusta, nuovamente a Gianni De Michelis a Venezia, al presidente dell’associazione italo-araba di Erno Egoli, a Giovanna Petrucci e infine alla signorina Ajubi, addetta stampa dell’Ambasciata siriana, che la giornalista ricontatterà il giorno dopo.

Nella pagina dedicata al riepilogo mensile di maggio, il progetto del viaggio in Medio Oriente è ormai esplicito. Accanto a ricerche presso la Biblioteca Nazionale di Roma (Maquis) figurano FLM e Simc, Guida Monaci, registro Enti Morali e l’ammiraglio Falco Accame. C’è una seconda parte dedicata alla Siria: Ambasciata, FINCRAL e certificato di amministrazione, la procedura per i passaporti, che prevedeva i contatti con la questura e con l’avvocato Antetomaso per ottenere il passaporto per Italo Toni che aveva difficoltà in tal senso, contatti con Antonello Colli.

Il viaggio è progettato insieme con Italo, che stende di suo pugno il proprio curriculum sulla la pagina del 1° giugno. Alle ore 11 di lunedì 2 giugno risalgono la prima visita alla Ambasciata di Siria, situata di fronte al Campidoglio (signorina Ajubi), nonché una telefonata a Gianni De Michelis. Il giorno dopo la giornalista cerca Giovanna Petrucci dell’associazione italo-araba, parla con Nemer Hammad, oltre che con Emo Egoli, l’amico Maurizio per consigli sulla macchina fotografica da acquistare e con Antonello Colli. Tali nomi ricorrono poi per tutto il mese su questa agenda. L’ 11 giugno Graziella telefona all’onorevole Riccardo Lombardi, intervistato anche nel libro Quale movimento, che dopo la loro scomparsa presiederà, nell’unico periodo dell’effettivo funzionamento, il Comitato permanente per Graziella De Palo e Italo Toni

Sulle pagine di «Paese Sera», prima della sua scomparsa in Libano, viene pubblicato il penultimo articolo della giornalista. Si tratta di un’intervista a monsignor Ibrahim Ayad, un sacerdote cattolico libanese, presidente ecclesiastico latino di Beirut che fa parte del consiglio dell’OLP.

Graziella ne descrive la figura cli prete militante che vive i problemi del popolo palestinese. I cattolici sono una realtà viva e presente in Palestina e subiscono l’assedio da parte degli israeliani dopo la proclamazione di Gerusalemme capitale «eterna e indivisibile» di Israele.

Le parole del sacerdote riportate nell’intervista sono dure: «Abbiamo aspettato 18 anni cercando di usare tutti i mezzi possibili per riavere le nostre terre. Alla fine, siamo stati costretti a ricorrere al solo mezzo rimasto: la lotta armata. Non siamo terroristi. Chi lolla per la propria terra non è un terrorista, è un combattente. La violenza viene dall’altra parte, la violenza dell’occupazione, di chi tortura e imprigiona, chi non accetta questa occupazione, di chi espropria la terra. Ci siamo rivolti a tutti, all’ONU, ai grandi, inutilmente. Ora non ci restano altri mezzi».

Graziella chiede quali siano le condizioni dei detenuti politici palestinesi tenuti prigionieri in Israele. Padre Ayad afferma che molti di loro, per le condizioni disumane in cui sono reclusi, hanno iniziato uno sciopero della fame. I metodi repressivi degli israeliani descritti dal sacerdote sono di una sconcertante drammaticità:

«Meno di un mese fa un ragazzo palestinese, Jacob Sciomali, che era in prigione per aver lanciato un sasso contro un veicolo militare israeliano, è stato percosso a morte. E la sua famiglia è stata presa e abbandonata nel deserto». Monsignor Ayad lamenta il fatto che questa notizia sia stata pubblicata sui giornali europei, ma non su quelli italiani, e prosegue nella descrizione di altre repressioni: «Gli israeliani, due mesi fa, hanno mandato i loro elicotteri a seminare defolianti per distruggere i raccolti di quattro villaggi vicino a Hebron. Con i bulldozer hanno distrutto alberi e vigneti, per affamare i palestinesi e costringerli ad andarsene».

La giornalista domanda al presule se non esistano delle divergenze all’interno della Chiesa cattolica sul modo di concepire la lotta del popolo palestinese. Secondo padre Ayad non può esistere nessuna obiezione da parte della Chiesa, in quanto nessuna religione impedisce di difendere i diritti del proprio popolo e, secondo le Scritture, per essi è giusto combattere fino alla morte. La decisione da parte israeliana di impadronirsi di Gerusalemme è, secondo il religioso, una vera e propria sfida non solo verso il mondo musulmano, ma anche verso quello cristiano. L’Islam ha altri luoghi più importanti di Gerusalemme, mentre per la cristianità è l’unico luogo sacro.

Le parole cli Ayad divengono taglienti nei confronti dei dirigenti israeliani, i quali «sono abituali a decidere come vogliono, senza tenere in considerazione nessuno, nemmeno il Papa. Credono di essere il popolo eletto»

Graziella manifesta nell’ultima domanda le sue posizioni di giornalista e di donna che considera la violenza come una piaga da sanare, domandando ad Ayad quali siano le proposte per risolvere il dramma della convivenza tra ebrei e palestinesi in Israele e nei territori occupati.

Ayad ricorda alla giornalista che Arafat nel 1974 aveva proposto all’ONU di costruire uno Stato democratico dove ebrei e palestinesi potessero vivere con uguali diritti, ribadendo che storicamente gli ebrei sono sempre stati accolti molto bene dagli arabi. «L’odio di oggi nasce dalle ingiustizie che sono state fatte al popolo palestinese. Ma quando vivremo insieme, in pace, con un solo governo, tutto svanirà: per l’arabo è facile dimenticare il male che gli è stato fatto. Questo è stato e resta il nostro obiettivo», conclude padre Ayad.

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