Ossigeno ha ricordato sei dei trenta per osservare il dovere della memoria e invitare a riflettere senza retorica su vicende che attendono giustizia e sul perché l’Italia è tuttora il paese europeo con più giornalisti minacciati e sotto scorta

Gennaio, in Italia, per i giornalisti, è un mese molto triste: lo abbiamo chiamato il mese dei morti perché sei dei trenta operatori dell’informazione uccisi nel corso degli ultimi sessant’anni hanno perso la vita nel primo mese dell’anno. Sono Giuseppe “Pippo” Fava (Catania, 5 gennaio 1984), Giuseppe “Beppe” Alfano (Barcellona Pozzo di Gotto, 8 gennaio 1993), Mario Francese (Palermo, 26 gennaio 1979), Marco Luchetta, Alessandro “Sasa” Ota e Dario D’Angelo (Mostar, 28 gennaio 1994).

Abbiamo raccolto le testimonianze del giornalista Attilio Bolzoni (leggi) e della ricercatrice Sarah Vantorre (leggi) che hanno raccontato il valore di Fava; della figlia di Alfano, Sonia Alfano (leggi), che ha ripercorso gli ultimi momenti con il padre; del figlio di Francese, Giulio Francese (leggi), che ha ricordato le manifestazioni pubbliche in memoria del cronista; della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin (leggi), che aiuta i bambini vittime dei conflitti. Un modo attuale per riscoprire l’esempio di questi giornalisti che abbiamo il dovere di ricordare.

Queste vicende dicono senza retorica, con i fatti, con il passo della storia, fino a che punto si è spinto nel nostro paese il coraggio di un cronista e fino a che punto estremo è arrivata la prepotenza di chi ha usato la violenza per tenere se stesso fuori dallo sguardo indagatore del giornalismo, della libertà di stampa, di un’attività di grande interesse sociale che nelle società democatiche non è un optional ma una compenente essenziale dello stato di diritto, è un diritto legittimato dalla Costituzione e dai Trattati internazionali.

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