3 maggio 2020 – Sono passati ventisei anni dal giorno dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e, pur essendo state svolte varie indagini giudiziare e un’inchiesta parlamentare, la ricerca dei responsabili ancora non è approdata a un risultato accertato. Killer, mandanti, complici e movente sono ancora da accertare. Tuttavia, sia pure senza il suggello di una sentenza, nonostante le zone d’ombra, appare sempre più chiara la dinamica dei fatti. La giornalista del TG3 RAI e l’operatore erano stati inviati da Roma, in Somalia per seguire l’attività del contingente militare italiano, che era il più numeroso all’interno della missione Onu “Restore Hope” guidata dali Stati Uniti. Quella missione aveva il compito di stabilizzare il paese diviso dalla guerra civile e prostrato dalla carestia dopo la caduta del ventennale regime di Siad Barre. Ilaria era già stata inviata sei volte nel paese africano.

Questa volta aveva raccolto informazioni su un probabile traffico illecito di rifiuti tossici, e forse di armi, tra l’Italia e la Somalia, e aveva cominciato a indagare su quella vicenda, che presentava risvolti affaristici e politici.

Le circostanze precise della sua morte e di quella contestuale di Miran non sono state accertate con precisione a causa di errori, omissioni, ombre, depistaggi. I genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana, hanno combattuto fino alla loro morte per dissipare le ombre e rimuovere gli ostacoli sul cammino della verità.

Ilaria aveva 33 anni ed era una cronista che amava la sua professione anche quando comportava dei rischi. Amava vedere le cose con i suoi occhi e da vicino. “A me piace andare, vedere e riferire, e non farmi raccontare da altri ciò che è successo. E questo sempre, in ogni circostanza”, aveva detto qualche mese prima a una sua collega che glielo faceva notare.

Era nata a Roma, si era laureata in Lettere e lingue straniere, era un’ottima conoscitrice della lingua araba e aveva scelto il giornalismo. Dopo varie collaborazioni (ai quotidiani Paese Sera e l’Unità), nel 1989 Ilaria entrò alla Rai e divenne inviata per l’estero.

La ricostruzione della sparatoria di Mogadiscio fa pensare che ci fu un agguato e fu una vera e propria esecuzione. Agì un commando di sette esponenti. I killer spararono a bruciapelo.


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