(Aggiornamento di Raffaella Della Morte – 3 maggio 2020)
IN AFGHANISTAN – Le autorità afghane hanno individuato tre colpevoli che sono stati processati e condannati. Nell’autunno 2004, il ventinovenne Reza Khan, accusato dell’omicidio, viene condannato alla pena capitale. Malgrado la famiglia della giornalista si fosse dichiarata contraria a tale punizione, Khan venne fucilato nell’ottobre 2007. Gli altri due sono Mamur figlio di Golfeiz e Zar Jan figlio di Habib Khan, entrambi di etnia Pashtun. I vengono indicati come “figlio di” perché in Afghanistan non esiste un’anagrafe ufficiale.
Entrambi sono stati condannati rispettivamente a 16 e 18 anni di reclusione.
IN ITALIA – Il processo comincia nel 2015 presso la Corte d’Assise di Roma. Imputati sono i due afgani Mamur e Zar Jan, che stanno già scontando la loro pena in Afghanistan. I due sono accusati di concorso in rapina per essersi impossessati, insieme con altri ancora non identificati, di una radio, un computer e una macchina fotografica appartenuti a Maria Grazia Cutuli, e di concorso in omicidio. Per la morte della giornalista in passato è stato assolto per dubbi sull’identificazione Jan Mar, mentre prosciolti per insufficienza di prove Fedai Mohammed Taher e Jan Miwa.
2017 – Nel novembre del 2017, in primo grado, i due imputati vengono condannati a 24 anni di reclusione. I due erano collegati in videoconferenza da un carcere del loro paese d’origine. La corte di Assise ha inflitto ai due anche il risarcimento danni ai familiari della giornalista e alla Rcs per complessivi 250 mila euro. Il Pm aveva chiesto 30 anni: “Siamo arrivati a ridosso del sedicesimo anno dai fatti – aveva detto nella requisitoria – e ciò rende questo processo non facilmente comprensibile, ma sin dall’inizio c’è stata la volontà chiara dello Stato italiano di procedere e individuare gli autori di questo fatto delittuoso, ma anche di rinnovare il processo in Italia”. Per il Pm, “i delitti per cui si procede sono stati qualificati come delitti politici, e la normativa consente di rinnovare questo processo in Italia”. Gli elementi raccolti, per il rappresentante dell’accusa, hanno consentito di accertare che “è stato realizzato un piano organizzato per un bottino. E’ stata un’azione audace, clamorosa.
Mamur ha confessato e ha tirato in ballo Zar Jan. Valutando tutti gli elementi che abbiamo, l’unica ricostruzione possibile è che i due sono i responsabili dei delitti loro contestati, oltre ogni ragionevole dubbio”. Tra i testimoni del processo fu ascoltato l’ex capo della Digos, Lamberto Giannini, all’epoca dell’udienza direttore dell’Antiterrorismo. Giannini affermò: Le autorità afghane ci riferirono che i talebani pagati dai servizi segreti pakistani terrorizzavano gli occidentali per dimostrare al mondo che la coalizione militare straniera non aveva affatto acquisito il controllo dell’Afghanistan e di Kabul. In questo contesto, a detta delle autorità afghane, l’omicidio di Maria Grazia Cutuli andava inserita in questa politica di terrore”.
2018 – L’anno successivo, il 15 novembre 2018, la Corte d’Assise d’appello, presieduta da Andrea Calabria con Giancarlo De Cataldo conferma la condanna a 24 anni di reclusione per i due afgani che avevano fatto ricorso. L’avvocato Paola Tuillier, legale della famiglia Cutuli, a margine dell’udienza, aveva espresso soddisfazione per la sentenza. “Questo processo – aveva detto – era dovuto a chi si è sacrificato per il suo Paese, è andato in Afghanistan consapevole dei rischi che correva, per rispettare il fondamentale diritto della libertà di stampa, cardine della democrazia. E’ un risultato che il nostro Paese doveva”. In aula erano presenti i fratelli di Maria Grazia, Donata e Mario. Soddisfazione era stata espressa anche dall’avvocato Caterina Malavenda, legale di Rcs. “Con la conferma della sentenza di primo grado al momento risulta confermata la natura anche politica dell’omicidio di Maria Grazia Cutuli”.